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martedì 6 dicembre 2016

Storie di timer e incastri di cucina

Certo che conoscete il timer come aggeggio di cucina. I tempi d’altra parte sono essenziali quindi, quando in forno o in pentola, qualcosa cuoce, anche a casa si punta il timer per tenere sott’occhio e orecchie i minuti.
In un ristorante nella scaletta delle lavorazioni ci vuole una band, di timer. E, naturalmente, un direttore d’orchestra che faccia seguire lo spartito con una melodia perfetta.
Ecco, a volte mi sento un timer umano, un cronometro ambulante con tanto di count down e count up incorporati. Far scuocere la pasta, bruciare un arrosto, sfornare una torta cruda sono orrori e dolori…E non solo. Le comande, croce e delizia di ogni cucina, sono un puzzle impietoso: guai a sbagliare un incastro.
Bisogna armonizzare le cotture con le sequenze. Bisogna rispettare la convivialità e fare in modo che allo stesso tavolo piatti diversi arrivino nel medesimo momento. Bisogna azionare gli start e gli stop sul filo del rasoio, né presto né tardi.
In Beer&ria il concerto di timer è amplificato perché non c’è congelatore e non si usano precotti e semilavorati. Qui si lavora sul fresco in giornata. Alle volte urlo più forte del timer perché tutto fili liscio come l’olio EVO, non c’è altra soluzione.
Del resto la metafora della musica viene buona pure perché in cucina le note stonate significano fischi e fiaschi e un cuoco che sia un cuoco invece insegue consensi e applausi.
Ecco, coccolo il timer che è in me. Parafrasando un ben noto programma tv, alle cucine da incubo preferisco di gran lunga quelle da sogno.
Forse la morale di oggi è:
Mentre in cucina il ritmo è febbrile
l’arte dello chef è mantenere lo stile

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