Chi
non ha mai gustato o sentito parlare del filetto alla Wellington?
Impossibile
negarne la fama, oltre alla squisitezza. Deve le sue origini al generale
inglese Arthur Wellesley insignito del prestigioso titolo di duca di Wellington
che, molto esigente in fatto di cucina, un giorno si ritrovò finalmente soddisfatto
dai cuochi di corte grazie a una portata di carne che finì per prendere il suo
nome.
D’altra
parte negli ultimi anni il filetto alla Wellington ha vissuto una rinnovata e
felicissima popolarità grazie al mitico Gordon Ramsay, pluristellato chef
britannico e stella di molti programmi tv, e a prestigiose interpretazioni
nostrane tra le quali cito quella, assai invitante, di Sonia Peronaci.
Nella
mia piccola cucina una personale rivisitazione del filetto alla Wellington mi è
stata suggerita e richiesta da un gentile e fedele cliente. Un buongustaio che
mi lanciava una garbata sfida: sai tu proporre alla tavola di Beer&ria un
Wellington alla tua maniera?
Impresa
ardua, forse addirittura presuntuosa, confrontarsi con certe eccellenze però…la
mia passione bruciava, insieme alla creatività. Come un ronzio fisso nelle
orecchie. Fino a quel dì, quello in cui iniziai a cimentarmi con le prove. Dalle
illustri ricette ai miei pensieri. Elaborando, elaborando, e ancora elaborando…è
uscito il mio Wellington, il ‘Wellington alla me manera’ ovvero la tagliata l’ho
impanata.
Trattasi,
al secolo di Beer&ria, di controfiletto di fassone piemontese (roba che
perfino Gordon Ramsay approverebbe alla grande) nappato con senape forte, avvolto in una sottile fetta di prosciutto
crudo, impanato e fritto. Servito scaloppato e accompagnato da salsa d’Avije.
Lo
dico, lo ammetto, lo confido, lo confesso: quasi mi sono commosso, davanti al
mio Wellington approvato. Sono emozioni, emozioni potenti. E, francamente,
botte di fierezza, consentitemelo. Ora però l’emozione è tutta vostra:
gustatelo!